Quando c’è bisogno di accogliere un ospite venuto da fuori ogni Paese ha il suo modo di dare il benvenuto. Oltre al modo di dire “benvenuto” nelle diverse lingue, per alcune culture l’accoglienza è davvero una questione di tradizione, e segue alcune determinate regole e buone maniere tramandate nei secoli. Buona norma è, quando si viaggia, di documentarsi sugli usi e costumi delle popolazioni locali così da non commettere gaffe quanto eventualmente ci si presenta.
L’ospite, in Mongolia, viene accolto porgendogli una hada, una striscia di cotone o seta; in ringraziamento voi dovrete solo fare un inchino. Il più famoso namasté, quello in cui si congiungono le mani e si china il capo, invece, è il saluto originario dell’India e nel Nepal. Si preme il naso sulla pelle dell’altra persona in Groenlandia mentre, i guerrieri della tribù Masai, preferiscono un saluto più movimentato con la loro è la danza adamu, la “danza del salto”. Per tradizione la cerimonia di benvenuto qui inizia con un racconto e si conclude con una sfida al saltatore che raggiunge il punto più alto rispetto agli altri.
Nei Paesi orientali la gente è solita inchinarsi a mo di saluto, ma sono le piccole sfumature dell’inchino stesso che fanno la differenza. Infatti in Cina le mani vengono tenute giunte sul petto, mentre in Thailandia le mani sono sempre giunte e si pronuncia la parola “sawadee” nel salutare, ma la loro posizione indica il grado di rispetto nei confronti dell’altro (quanto più in alto tanto è maggiore il rispetto). In Giappone ci si inginocchia addirittura in alcuni casi particolari: se l’accoglienza avviene sul tatami, caratteristica pavimentazione giapponese, è necessario inginocchiarsi.
Una piccola cerimonia di benvenuto quella dell’hongi, in Nuova Zelanda, in cui si usano naso e fronte per toccare naso e fronte dell’altra persona. Una volta compiuto questo gesto non si è più considerati come ospiti/manuhiri ma whenua, ovvero persone del luogo. I tibetani invece sono forse i più divertenti perchè vi danno il benvenuto cacciando la lingua: ciò a dimostrazione del fatto che quello che in altri Paesi può risultare anche scortese in alcune culture è “benvenuto”.