Tibet, dove l’antico accoglie la modernità

Tante le novità dall’agosto sul tetto del mondo, cioè dal viaggio a Chengdu e a Lhasa voluto dall’Associazione ‘Mirabile Tibet’ e organizzato dall’Agenzia di comunicazione I SAY per tre influencer di eccezione – Laura Comolli, Roberto De Rosa e Nicolò Leone. Viaggio che ora i nostri protagonisti dei social stanno raccontando, con decine di immagini e stories sui loro profili Instagram.

“Cartoline” da un Tibet antico e moderno, che sta fiorendo grazie agli enormi investimenti nella mobilità, nell’energia green, nell’economia e nella qualità di vita della regione. Un luogo storicamente difficilissimo da raggiungere, reso oggi accessibile agli appassionati di Cultura, Spiritualità, Natura e Arte di tutto il mondo. Dal miracolo ferroviario di ingegneria, capace di attraversare – in alcuni tratti, sul permafrost – ostici valichi montani, dalla vitalità economica e persino dalle bombolette di ossigeno che sembrano piccoli thermos da caffè. Dove una volta c’erano soltanto la pastorizia dello Yak e una vita scandita da riti e manifestazioni di devozione, oggi ci sono musiche e giochi d’acqua, risciò e persino taxi, ristoranti nepalesi, indiani, di cucina Sichuan e locale, tanti piccoli negozi fotografici e l’ufficio postale più alto del mondo, ricco di francobolli e affrancature speciali ma anche di prodotti artigianali.

Certo: i leggendari luoghi della Spiritualità – come il Palazzo del Potala o il Monastero Sera – sono protetti dalla troppa affluenza con accessi regolamentati e garbate “istruzioni” all’entrata. E il turista si sente chiamato a seguire e rispettare usi, costumi e ritmi di una visione di fede e assieme cultura antica, profondamente legata alla Natura nella quale vive e a una sostenibilità ante literam. Ma potersi immergere nei profumi, nei suoni e nei sapori di questi luoghi rimane esperienza da fare e soprattutto da ripetere, perché – come dicevamo – il Tibet sta fiorendo a una velocità impressionante. Un patrimonio immateriale di riti e di modi che ora si arricchisce dell’intraprendere e della bellezza del farlo insieme e di condividerlo con il mondo.

Parliamo di un turismo slow, anche se – grazie alle moderne infrastrutture – merci una volta irreperibili a quelle altezze ora arrivano fresche e in un giorno dalla Cina continentale, a beneficio dei turisti ma anche di una popolazione locale storicamente povera. E parliamo di una diversa prosperità, mossa anche da una nuova piccola imprenditoria artigiana, tradizionale e moderna, che spazia dai mobili antichi, i tappeti tibetani fatti in lana di capra himalayana e gli oggetti per le cerimonie buddhiste quotidiane alla gioielleria e le famose pietre Xi, i dipinti tradizionali (Tangka), i thè e gli incensi, l’abbigliamento tradizionale e il vestiario moderno da trekking.

Lhasa è oggi una città con qualche centro commerciale ma anche un bazaar attorno al Monastero Jhokang, sulla circumambulatoria Barkhor Street, con mille bancarelle e l’uso tradizionale del garbato discutere sul prezzo. Con un’accortezza: nel caso, per esempio, di oggetti di antiquariato, soltanto quelli acquistati presso i negozi autorizzati e muniti del sigillo rosso attestante l’autenticità potranno essere messi in valigia e portati fuori dalla regione. E, questo, per evitare – anche se mossi dall’entusiasmo – di impoverire il patrimonio artistico e naturalistico locale.

Con decine di milioni di visitatori all’anno, il turismo interno e internazionale nei centri urbani del Tibet sta avendo un ruolo fondamentale per la regione. A cominciare dal lavoro nell’indotto, che per la popolazione locale oggi impegnata in tutta la filiera della ricezione sta cambiando moltissimo qualità di vita e possibilità future. 

Permangono agricoltura e pastorizia, ma le famose carovane di Yak sono sostituite da treni e camion e, la fatica delle schiene nei campi di cereali, da macchinari agricoli. E permangono i pastori nomadi, che ancora attraversano l’Himalaya per portare il sale nel Nepal o nel Bhutan. Ma si sta investendo molto nelle serre di verdure e piante medicinali, in modo da diminuire sempre di più la dipendenza dalle importazioni, e nella costruzione di villaggi per i nomadi delle grandi praterie.

Commercio e turismo dunque, quest’ultimo inteso come “industria verde”. Che oggi non solo porta un diverso benessere agli adulti ma, cosa ancora più importante, spinge i giovani tibetani a rimanere o tornare nei luoghi natii. Una lezione, questa, dalla quale il nostro Paese – che solo nel biennio 2021-2022 ha visto la percentuale di giovani under 34 emigrati salire dal 37 al 61% – forse potrebbe imparare.

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